lunedì 12 luglio 2010

Napoli, Chiesa e camorra: la chiesa con la "c" minuscola.

Quando per le istituzioni le situazioni sociali diventano intollerabili e non si riesce più ad amministrarle, spesso si rivolge la propria speranza alla Chiesa. La Chiesa, grazie sopratutto al suo radicamento sul territorio e al suo intimo rapporto con la gente, spesso riesce a sopperire alle mancanze dello Stato. Ma anche quando si parla di «Chiesa» occorre distinguere tra i messaggi ufficiali che dalla tranquillità dei palazzi vengono emanati delle gerarchie ecclesiastiche; e i sacerdoti che vivono insieme alla gente comune condividendo con loro la miseria di un territorio.
E’ il caso del parroco della chiesa di S. Maria della Provvidenza nel rione Don Guanella a Scampia, Napoli, un prete tutto pelle e ossa che sfodera un energia incredibile quando si tratta di proteggere i ragazzi e di contrastare non solo la mentalità mafiosa ma anche i camorristi stessi.
Si chiama Don Aniello Manganiello e dal 1994 ha fatto delle strade di Scampia e Secondigliano la sua casa. E si, perché lui non si limita ad officiare messa all’interno delle mura della sua chiesa, lui è per strada a portare speranza a chiunque ha la fortuna di incontrarlo. O almeno questo è quello che ha fatto senza risparmiarsi fino ad oggi, oggi che i vertici ecclesiastici hanno deciso che è meglio trasferire questo indomito prete lontano, da un’altra parte.
Normale avvicendamento dicono, decisione politica poiché ha fatto più lui con pochi e poveri mezzi piuttosto che tutte le amministrazioni cittadine messe insieme, si legge.
E la gente di Scampia? Chi ci pensa a loro? Chi glie lo spiega che le istituzioni, dopo averli abbandonati, ora allontana una delle poche speranze del quartiere perché gli causa imbarazzo e mette in luce le sue manchevolezze?
Ma partiamo dal principio.
Don Aniello Manganiello è un prete dell’ordine Guanelliano. Lo stesso anno in cui Don Peppe Diana viene barbaramente ucciso a Casal di Principe per il suo impegno nel salvare i giovani dalla camorra, lui accetta di diventare parroco di Scampia e Secondigliano, quartieri che non hanno bisogno di presentazioni per sapere che si tratta dell’inferno, territori malati tenuti in ostaggio dalla camorra. Da che è arrivato in questi luoghi Don Aniello non si è dato un attimo di sosta, non è mai stato con le mani in mano, non sarebbe stato possibile qui. Si è prodigato in mille modi per dare una reale e concreta alternativa ai giovani, l’hanno minacciato, boicottato, ma lui non si è mai fermato. Agli scissionisti e agli uomini del clan Di Lauro, che fino al suo arrivo non avevano avuto rivali nel predominio del territorio, don Aniello ha imposto caparbiamente la sua presenza. O gli sparavano un colpo in pieno volto, rischiando però di far scoppiare una sommossa da parte dei cittadini di cui ha saputo conquistare l’amore e il rispetto, o lo sopportavano cercando altre strade per liberarsi di lui. Non ci si aspettava che fossero proprio gli alti prelati a correre in soccorso dei camorristi levandogli questa spina dal fianco.
Don Aniello nel frattempo continua a tuonare dal pulpito facendo nomi e cognomi, durante l’omelia parla di pizzo e droga, rifiuta di dare la comunione ai camorristi. Ha organizzato una squadra di calcetto composta da scugnizzi che personalmente va a prendere per le strade del quartiere, ha messo in piedi un semiconvitto diurno per togliere i ragazzi dalla strada, aperto a chiunque ne abbia bisogno. Lui è quello che si dice “un uomo con le palle”, ha fatto (e lui vorrebbe tanto continuare a fare) quello che quasi tutti noi non avremo mai il coraggio di fare.
E allora perché? Perché?
La speranza che don Aniello ha dato ai ragazzi di Scampia non può essere a termine, non si può interrompere questo percorso che tanti risultati ha dato.
Non c’è burocrazia che tenga, se Don Aniello verrà trasferito a vincere sarà stata la camorra e a perdere, prima ancora della gente di Scampia e Secondigliano, sarà stata la chiesa, quella con la “c” minuscola. Avrà perso la fiducia ma avrà anche definitivamente smarrito l’intimo significato della dedizione verso il prossimo che invece Don Aniello così degnamente incarna.
di Susanna Ambivero

Quando per le istituzioni le situazioni sociali diventano intollerabili e non si riesce più ad amministrarle, spesso si rivolge la propria speranza alla Chiesa. La Chiesa, grazie sopratutto al suo radicamento sul territorio e al suo intimo rapporto con la gente, spesso riesce a sopperire alle mancanze dello Stato. Ma anche quando si parla di «Chiesa» occorre distinguere tra i messaggi ufficiali che dalla tranquillità dei palazzi vengono emanati delle gerarchie ecclesiastiche; e i sacerdoti che vivono insieme alla gente comune condividendo con loro la miseria di un territorio.
E’ il caso del parroco della chiesa di S. Maria della Provvidenza nel rione Don Guanella a Scampia, Napoli, un prete tutto pelle e ossa che sfodera un energia incredibile quando si tratta di proteggere i ragazzi e di contrastare non solo la mentalità mafiosa ma anche i camorristi stessi.
Si chiama Don Aniello Manganiello e dal 1994 ha fatto delle strade di Scampia e Secondigliano la sua casa. E si, perché lui non si limita ad officiare messa all’interno delle mura della sua chiesa, lui è per strada a portare speranza a chiunque ha la fortuna di incontrarlo. O almeno questo è quello che ha fatto senza risparmiarsi fino ad oggi, oggi che i vertici ecclesiastici hanno deciso che è meglio trasferire questo indomito prete lontano, da un’altra parte.
Normale avvicendamento dicono, decisione politica poiché ha fatto più lui con pochi e poveri mezzi piuttosto che tutte le amministrazioni cittadine messe insieme, si legge.
E la gente di Scampia? Chi ci pensa a loro? Chi glie lo spiega che le istituzioni, dopo averli abbandonati, ora allontana una delle poche speranze del quartiere perché gli causa imbarazzo e mette in luce le sue manchevolezze?
Ma partiamo dal principio.
Don Aniello Manganiello è un prete dell’ordine Guanelliano. Lo stesso anno in cui Don Peppe Diana viene barbaramente ucciso a Casal di Principe per il suo impegno nel salvare i giovani dalla camorra, lui accetta di diventare parroco di Scampia e Secondigliano, quartieri che non hanno bisogno di presentazioni per sapere che si tratta dell’inferno, territori malati tenuti in ostaggio dalla camorra. Da che è arrivato in questi luoghi Don Aniello non si è dato un attimo di sosta, non è mai stato con le mani in mano, non sarebbe stato possibile qui. Si è prodigato in mille modi per dare una reale e concreta alternativa ai giovani, l’hanno minacciato, boicottato, ma lui non si è mai fermato. Agli scissionisti e agli uomini del clan Di Lauro, che fino al suo arrivo non avevano avuto rivali nel predominio del territorio, don Aniello ha imposto caparbiamente la sua presenza. O gli sparavano un colpo in pieno volto, rischiando però di far scoppiare una sommossa da parte dei cittadini di cui ha saputo conquistare l’amore e il rispetto, o lo sopportavano cercando altre strade per liberarsi di lui. Non ci si aspettava che fossero proprio gli alti prelati a correre in soccorso dei camorristi levandogli questa spina dal fianco.
Don Aniello nel frattempo continua a tuonare dal pulpito facendo nomi e cognomi, durante l’omelia parla di pizzo e droga, rifiuta di dare la comunione ai camorristi. Ha organizzato una squadra di calcetto composta da scugnizzi che personalmente va a prendere per le strade del quartiere, ha messo in piedi un semiconvitto diurno per togliere i ragazzi dalla strada, aperto a chiunque ne abbia bisogno. Lui è quello che si dice “un uomo con le palle”, ha fatto (e lui vorrebbe tanto continuare a fare) quello che quasi tutti noi non avremo mai il coraggio di fare.
E allora perché? Perché?
La speranza che don Aniello ha dato ai ragazzi di Scampia non può essere a termine, non si può interrompere questo percorso che tanti risultati ha dato.
Non c’è burocrazia che tenga, se Don Aniello verrà trasferito a vincere sarà stata la camorra e a perdere, prima ancora della gente di Scampia e Secondigliano, sarà stata la chiesa, quella con la “c” minuscola. Avrà perso la fiducia ma avrà anche definitivamente smarrito l’intimo significato della dedizione verso il prossimo che invece Don Aniello così degnamente incarna.
di Susanna Ambivero

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1 Comment:

mascia dice...

Caro Pungi,grazie di vero cuore di questa tua testimonianza!!!
E' questa la Chiesa che io accanitamente e ostinatamente continuo a difendere,dove il sacerdozio è un sacramento e una missione,quella che Gesù ha lasciato ai suoi successori.
Gesù nn è venuto per i puri ed i giusti ma per i peccatori e per essi ha sacrificato la vita.
Don Aniello,ha capito il vero senso del sacerdozio,è uno dei tanti che sacrifica la sua vita per l'amore e la cura del prossimo,è un prete che riesce a riscattare con il suo operato quello che alcuni hanno messo in discussione,offendendo e denigrando la credibilità e la moralità di una Chiesa nn costruita da mura ma da esempi che hanno il dovere di portare avanti la vera eredità che gli è stata lasciata,l'unica che potrà portare la salvezza a tutti gli uomini.
Mi auguro che nn venga trasferito e che sia lasciato libero di scegliere dove vuole stare,per dare coraggio e una speranza a tutti quelli che sfortunatamente sono costretti a vivere in un ambiente e con persone che non hanno scelto loro,e, che possa essere offerto loro una chance per riuscire a discernere il bene dal male.La mentalità mafiosa può essere combattuta se a questi giovani viene offerta la possibilità di potersi avvicinare ad una fraternità ottimale ispirata da tipologie di vita cristiana e non basata su un'omertà camorristica rivolta solo alla conquista di un potere territoriale.

Per non dimenticarli!

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