Con la sentenza n. 138 del 14 aprile 2010, la Corte Costituzionale si è pronunziata sulla questione concernente l’ammissibilità del matrimonio tra persone dello stesso sesso nel nostro ordinamento affermando che l’unione omosessuale, pur se riconducibile all’art. 2 Cost., rappresenta tuttavia una formazione sociale non idonea a costituire una famiglia fondata sul matrimonio stante l’imprescindibile (potenziale) “finalità procreativa del matrimonio che vale a differenziarlo dall’unione omosessuale”; proseguono i giudici precisando che “in tal senso orienta anche il secondo comma della disposizione che, affermando il principio dell’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, ebbe riguardo proprio alla posizione della donna cui intendeva attribuire pari dignità e diritti nel rapporto coniugale” concludendosi che “in questo quadro, con riferimento all’art. 3 Cost., la censurata normativa del codice civile che, per quanto sopra detto, contempla esclusivamente il matrimonio tra uomo e donna, non può considerarsi illegittima sul piano costituzionale. Ciò sia perché essa trova fondamento nel citato art. 29 Cost., sia perché la normativa medesima non dà luogo ad una irragionevole discriminazione, in quanto le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee al matrimonio”.
Dunque, la formazione sociale costituita dalla cosiddetta “società naturale” ex art. 29 Cost., presuppone, rispetto a tutte le altre formazioni sociali, un quid naturalistico ulteriore rappresentato dalla diversità di sesso tra i nubendi nonchè dalla loro astratta idoneità a generare figli, dovendosi pertanto escludere ogni discriminazione ex art. 3 Cost. stante la non omogeneità delle unioni omosessuali a quelle matrimoniali ammesse tanto che, opinare diversamente, significherebbe - afferma la Consulta - “procedere ad un’interpretazione creativa… non una semplice rilettura del sistema” non potendo pertanto il precetto costituzionale “essere superato per via ermeneutica”. Quali gli obblighi ed i limiti che derivano al legislatore da questa sentenza?
Mentre la regolamentazione dell'unione omosessuale, quale destinataria di un espresso riconoscimento giuridico, non sarebbe in alcun modo vincolata o limitata dalla sentenza in parola,lo stesso rimarrebbe tuttavia impossibilitato nel sancire l’ammissibilità del matrimonio tra omosessuali, pena l’incostituzionalità della relativa disciplina. Al riguardo, infatti, mentre il giudice delle leggi ha dichiarato inammissibile la questione sollevata con riferimento alla violazione dell’art. 2 Cost. - poiché, precisano i giudici, “nell’ambito applicativo dell’art. 2 Cost., spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua piena discrezionalità, individuare le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni suddette” -, v’è stata invece una pronunzia di infondatezza della questione con riferimento all’eccepita violazione da parte della normativa codicistica degli artt. 3 e 29 Cost. sulla scorta, appunto, del ritenuto esclusivo carattere eterosessuale del matrimonio costituzionalmente contemplato. Sul punto i giudici costituzionali se da un lato precisano che “i concetti di famiglia e di matrimonio non si possono ritenere cristallizzati con riferimento all’epoca in cui la Costituzione entrò in vigore, perché sono dotati della duttilità propria dei princìpi costituzionali e, quindi, vanno interpretati tenendo conto non soltanto delle trasformazioni dell’ordinamento, ma anche dell’evoluzione della società e dei costumi” da altro lato sottolineano, tuttavia, che “detta interpretazione, però, non può spingersi fino al punto di incidere sul nucleo della norma, modificandola in modo tale da includere in essa fenomeni e problematiche non considerati in alcun modo quando fu emanata” con la fondamentale precisazione che l’eterosessualità del matrimonio costituzionalmente disciplinato presuppone la diversità di sesso tra i coniugi anche alla luce del disposto del comma 2, art. 29 Cost., il quale “affermando il principio dell’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, ebbe riguardo proprio alla posizione della donna cui intendeva attribuire pari dignità e diritti nel rapporto coniugale”.
La Consulta, nella specie, ha anche escluso che le norme ultrastatali invocate a parametro interposto di legittimità ex art. 117 Cost. (norme CEDU) possano imporre nel nostro ordinamento “la concessione dello status matrimoniale a unioni tra persone dello stesso sesso”, ciò stante la loro “neutralità” ovvero il rinvio da esse operato alle leggi nazionali. E’ vero , tuttavia, che la stessa Corte Costituzionale in varie occasioni ha ribadito, con riferimento alle norme sopranazionali ed in particolare quelle della CEDU, che al giudice nazionale, in quanto giudice comune della Convenzione “spetta il compito di applicare le relative norme, nell’interpretazione offertane dalla Corte di Strasburgo, alla quale questa competenza è stata espressamente attribuita dagli Stati contraenti” con la precisazione che alla stessa Corte Costituzionale “è precluso di sindacare l’interpretazione della Convenzione europea fornita dalla Corte di Strasburgo, cui tale funzione è stata attribuita dal nostro Paese senza apporre riserve.
Cosa accadrebbe, allora, se le norme CEDU rispetto alle quali si è oggi esclusa la prescrizione di un vincolo relativamente alla materia de qua dovessero in futuro essere interpretate dalla Corte CEDU in un opposto significato ovvero come legittimanti anche unioni matrimoniali omosessuali?
E, verrebbe da chiedersi, i matrimoni sterili, per volontà o per natura, dovrebbero così essere annullati, poiché non si differenzierebbero dalle unioni omosessuali?
L'unione, a parer mio, di due persone dello stesso stesso non può avvenire tramite l'istituto ( ed il sacramento) del matrimonio allo stesso modo nel quale non si può sostenere che le stesse due persone dello stesso sesso non abbiano il sacrosanto diritto ad essere ritenute " famiglia" al pari di tutte le altre.
Dunque, la formazione sociale costituita dalla cosiddetta “società naturale” ex art. 29 Cost., presuppone, rispetto a tutte le altre formazioni sociali, un quid naturalistico ulteriore rappresentato dalla diversità di sesso tra i nubendi nonchè dalla loro astratta idoneità a generare figli, dovendosi pertanto escludere ogni discriminazione ex art. 3 Cost. stante la non omogeneità delle unioni omosessuali a quelle matrimoniali ammesse tanto che, opinare diversamente, significherebbe - afferma la Consulta - “procedere ad un’interpretazione creativa… non una semplice rilettura del sistema” non potendo pertanto il precetto costituzionale “essere superato per via ermeneutica”. Quali gli obblighi ed i limiti che derivano al legislatore da questa sentenza?
Mentre la regolamentazione dell'unione omosessuale, quale destinataria di un espresso riconoscimento giuridico, non sarebbe in alcun modo vincolata o limitata dalla sentenza in parola,lo stesso rimarrebbe tuttavia impossibilitato nel sancire l’ammissibilità del matrimonio tra omosessuali, pena l’incostituzionalità della relativa disciplina. Al riguardo, infatti, mentre il giudice delle leggi ha dichiarato inammissibile la questione sollevata con riferimento alla violazione dell’art. 2 Cost. - poiché, precisano i giudici, “nell’ambito applicativo dell’art. 2 Cost., spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua piena discrezionalità, individuare le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni suddette” -, v’è stata invece una pronunzia di infondatezza della questione con riferimento all’eccepita violazione da parte della normativa codicistica degli artt. 3 e 29 Cost. sulla scorta, appunto, del ritenuto esclusivo carattere eterosessuale del matrimonio costituzionalmente contemplato. Sul punto i giudici costituzionali se da un lato precisano che “i concetti di famiglia e di matrimonio non si possono ritenere cristallizzati con riferimento all’epoca in cui la Costituzione entrò in vigore, perché sono dotati della duttilità propria dei princìpi costituzionali e, quindi, vanno interpretati tenendo conto non soltanto delle trasformazioni dell’ordinamento, ma anche dell’evoluzione della società e dei costumi” da altro lato sottolineano, tuttavia, che “detta interpretazione, però, non può spingersi fino al punto di incidere sul nucleo della norma, modificandola in modo tale da includere in essa fenomeni e problematiche non considerati in alcun modo quando fu emanata” con la fondamentale precisazione che l’eterosessualità del matrimonio costituzionalmente disciplinato presuppone la diversità di sesso tra i coniugi anche alla luce del disposto del comma 2, art. 29 Cost., il quale “affermando il principio dell’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, ebbe riguardo proprio alla posizione della donna cui intendeva attribuire pari dignità e diritti nel rapporto coniugale”.
La Consulta, nella specie, ha anche escluso che le norme ultrastatali invocate a parametro interposto di legittimità ex art. 117 Cost. (norme CEDU) possano imporre nel nostro ordinamento “la concessione dello status matrimoniale a unioni tra persone dello stesso sesso”, ciò stante la loro “neutralità” ovvero il rinvio da esse operato alle leggi nazionali. E’ vero , tuttavia, che la stessa Corte Costituzionale in varie occasioni ha ribadito, con riferimento alle norme sopranazionali ed in particolare quelle della CEDU, che al giudice nazionale, in quanto giudice comune della Convenzione “spetta il compito di applicare le relative norme, nell’interpretazione offertane dalla Corte di Strasburgo, alla quale questa competenza è stata espressamente attribuita dagli Stati contraenti” con la precisazione che alla stessa Corte Costituzionale “è precluso di sindacare l’interpretazione della Convenzione europea fornita dalla Corte di Strasburgo, cui tale funzione è stata attribuita dal nostro Paese senza apporre riserve.
Cosa accadrebbe, allora, se le norme CEDU rispetto alle quali si è oggi esclusa la prescrizione di un vincolo relativamente alla materia de qua dovessero in futuro essere interpretate dalla Corte CEDU in un opposto significato ovvero come legittimanti anche unioni matrimoniali omosessuali?
E, verrebbe da chiedersi, i matrimoni sterili, per volontà o per natura, dovrebbero così essere annullati, poiché non si differenzierebbero dalle unioni omosessuali?
L'unione, a parer mio, di due persone dello stesso stesso non può avvenire tramite l'istituto ( ed il sacramento) del matrimonio allo stesso modo nel quale non si può sostenere che le stesse due persone dello stesso sesso non abbiano il sacrosanto diritto ad essere ritenute " famiglia" al pari di tutte le altre.
Ed allora ben vengano, prima di interventi esterni, riconoscimenti giuridici dei diritti delle coppie omosessuali in grado di assicurar loro le stesse prerogative riservate alle coppie eterosessuali ( compreso il diritto di adottare e procreare) attraverso, però, strumenti diversi dal matrimonio
che il diritto naturale riserva alle coppie formate da un uomo ed una donna.
Con la sentenza n. 138 del 14 aprile 2010, la Corte Costituzionale si è pronunziata sulla questione concernente l’ammissibilità del matrimonio tra persone dello stesso sesso nel nostro ordinamento affermando che l’unione omosessuale, pur se riconducibile all’art. 2 Cost., rappresenta tuttavia una formazione sociale non idonea a costituire una famiglia fondata sul matrimonio stante l’imprescindibile (potenziale) “finalità procreativa del matrimonio che vale a differenziarlo dall’unione omosessuale”; proseguono i giudici precisando che “in tal senso orienta anche il secondo comma della disposizione che, affermando il principio dell’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, ebbe riguardo proprio alla posizione della donna cui intendeva attribuire pari dignità e diritti nel rapporto coniugale” concludendosi che “in questo quadro, con riferimento all’art. 3 Cost., la censurata normativa del codice civile che, per quanto sopra detto, contempla esclusivamente il matrimonio tra uomo e donna, non può considerarsi illegittima sul piano costituzionale. Ciò sia perché essa trova fondamento nel citato art. 29 Cost., sia perché la normativa medesima non dà luogo ad una irragionevole discriminazione, in quanto le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee al matrimonio”.
Dunque, la formazione sociale costituita dalla cosiddetta “società naturale” ex art. 29 Cost., presuppone, rispetto a tutte le altre formazioni sociali, un quid naturalistico ulteriore rappresentato dalla diversità di sesso tra i nubendi nonchè dalla loro astratta idoneità a generare figli, dovendosi pertanto escludere ogni discriminazione ex art. 3 Cost. stante la non omogeneità delle unioni omosessuali a quelle matrimoniali ammesse tanto che, opinare diversamente, significherebbe - afferma la Consulta - “procedere ad un’interpretazione creativa… non una semplice rilettura del sistema” non potendo pertanto il precetto costituzionale “essere superato per via ermeneutica”. Quali gli obblighi ed i limiti che derivano al legislatore da questa sentenza?
Mentre la regolamentazione dell'unione omosessuale, quale destinataria di un espresso riconoscimento giuridico, non sarebbe in alcun modo vincolata o limitata dalla sentenza in parola,lo stesso rimarrebbe tuttavia impossibilitato nel sancire l’ammissibilità del matrimonio tra omosessuali, pena l’incostituzionalità della relativa disciplina. Al riguardo, infatti, mentre il giudice delle leggi ha dichiarato inammissibile la questione sollevata con riferimento alla violazione dell’art. 2 Cost. - poiché, precisano i giudici, “nell’ambito applicativo dell’art. 2 Cost., spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua piena discrezionalità, individuare le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni suddette” -, v’è stata invece una pronunzia di infondatezza della questione con riferimento all’eccepita violazione da parte della normativa codicistica degli artt. 3 e 29 Cost. sulla scorta, appunto, del ritenuto esclusivo carattere eterosessuale del matrimonio costituzionalmente contemplato. Sul punto i giudici costituzionali se da un lato precisano che “i concetti di famiglia e di matrimonio non si possono ritenere cristallizzati con riferimento all’epoca in cui la Costituzione entrò in vigore, perché sono dotati della duttilità propria dei princìpi costituzionali e, quindi, vanno interpretati tenendo conto non soltanto delle trasformazioni dell’ordinamento, ma anche dell’evoluzione della società e dei costumi” da altro lato sottolineano, tuttavia, che “detta interpretazione, però, non può spingersi fino al punto di incidere sul nucleo della norma, modificandola in modo tale da includere in essa fenomeni e problematiche non considerati in alcun modo quando fu emanata” con la fondamentale precisazione che l’eterosessualità del matrimonio costituzionalmente disciplinato presuppone la diversità di sesso tra i coniugi anche alla luce del disposto del comma 2, art. 29 Cost., il quale “affermando il principio dell’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, ebbe riguardo proprio alla posizione della donna cui intendeva attribuire pari dignità e diritti nel rapporto coniugale”.
La Consulta, nella specie, ha anche escluso che le norme ultrastatali invocate a parametro interposto di legittimità ex art. 117 Cost. (norme CEDU) possano imporre nel nostro ordinamento “la concessione dello status matrimoniale a unioni tra persone dello stesso sesso”, ciò stante la loro “neutralità” ovvero il rinvio da esse operato alle leggi nazionali. E’ vero , tuttavia, che la stessa Corte Costituzionale in varie occasioni ha ribadito, con riferimento alle norme sopranazionali ed in particolare quelle della CEDU, che al giudice nazionale, in quanto giudice comune della Convenzione “spetta il compito di applicare le relative norme, nell’interpretazione offertane dalla Corte di Strasburgo, alla quale questa competenza è stata espressamente attribuita dagli Stati contraenti” con la precisazione che alla stessa Corte Costituzionale “è precluso di sindacare l’interpretazione della Convenzione europea fornita dalla Corte di Strasburgo, cui tale funzione è stata attribuita dal nostro Paese senza apporre riserve.
Cosa accadrebbe, allora, se le norme CEDU rispetto alle quali si è oggi esclusa la prescrizione di un vincolo relativamente alla materia de qua dovessero in futuro essere interpretate dalla Corte CEDU in un opposto significato ovvero come legittimanti anche unioni matrimoniali omosessuali?
E, verrebbe da chiedersi, i matrimoni sterili, per volontà o per natura, dovrebbero così essere annullati, poiché non si differenzierebbero dalle unioni omosessuali?
L'unione, a parer mio, di due persone dello stesso stesso non può avvenire tramite l'istituto ( ed il sacramento) del matrimonio allo stesso modo nel quale non si può sostenere che le stesse due persone dello stesso sesso non abbiano il sacrosanto diritto ad essere ritenute " famiglia" al pari di tutte le altre.
Dunque, la formazione sociale costituita dalla cosiddetta “società naturale” ex art. 29 Cost., presuppone, rispetto a tutte le altre formazioni sociali, un quid naturalistico ulteriore rappresentato dalla diversità di sesso tra i nubendi nonchè dalla loro astratta idoneità a generare figli, dovendosi pertanto escludere ogni discriminazione ex art. 3 Cost. stante la non omogeneità delle unioni omosessuali a quelle matrimoniali ammesse tanto che, opinare diversamente, significherebbe - afferma la Consulta - “procedere ad un’interpretazione creativa… non una semplice rilettura del sistema” non potendo pertanto il precetto costituzionale “essere superato per via ermeneutica”. Quali gli obblighi ed i limiti che derivano al legislatore da questa sentenza?
Mentre la regolamentazione dell'unione omosessuale, quale destinataria di un espresso riconoscimento giuridico, non sarebbe in alcun modo vincolata o limitata dalla sentenza in parola,lo stesso rimarrebbe tuttavia impossibilitato nel sancire l’ammissibilità del matrimonio tra omosessuali, pena l’incostituzionalità della relativa disciplina. Al riguardo, infatti, mentre il giudice delle leggi ha dichiarato inammissibile la questione sollevata con riferimento alla violazione dell’art. 2 Cost. - poiché, precisano i giudici, “nell’ambito applicativo dell’art. 2 Cost., spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua piena discrezionalità, individuare le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni suddette” -, v’è stata invece una pronunzia di infondatezza della questione con riferimento all’eccepita violazione da parte della normativa codicistica degli artt. 3 e 29 Cost. sulla scorta, appunto, del ritenuto esclusivo carattere eterosessuale del matrimonio costituzionalmente contemplato. Sul punto i giudici costituzionali se da un lato precisano che “i concetti di famiglia e di matrimonio non si possono ritenere cristallizzati con riferimento all’epoca in cui la Costituzione entrò in vigore, perché sono dotati della duttilità propria dei princìpi costituzionali e, quindi, vanno interpretati tenendo conto non soltanto delle trasformazioni dell’ordinamento, ma anche dell’evoluzione della società e dei costumi” da altro lato sottolineano, tuttavia, che “detta interpretazione, però, non può spingersi fino al punto di incidere sul nucleo della norma, modificandola in modo tale da includere in essa fenomeni e problematiche non considerati in alcun modo quando fu emanata” con la fondamentale precisazione che l’eterosessualità del matrimonio costituzionalmente disciplinato presuppone la diversità di sesso tra i coniugi anche alla luce del disposto del comma 2, art. 29 Cost., il quale “affermando il principio dell’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, ebbe riguardo proprio alla posizione della donna cui intendeva attribuire pari dignità e diritti nel rapporto coniugale”.
La Consulta, nella specie, ha anche escluso che le norme ultrastatali invocate a parametro interposto di legittimità ex art. 117 Cost. (norme CEDU) possano imporre nel nostro ordinamento “la concessione dello status matrimoniale a unioni tra persone dello stesso sesso”, ciò stante la loro “neutralità” ovvero il rinvio da esse operato alle leggi nazionali. E’ vero , tuttavia, che la stessa Corte Costituzionale in varie occasioni ha ribadito, con riferimento alle norme sopranazionali ed in particolare quelle della CEDU, che al giudice nazionale, in quanto giudice comune della Convenzione “spetta il compito di applicare le relative norme, nell’interpretazione offertane dalla Corte di Strasburgo, alla quale questa competenza è stata espressamente attribuita dagli Stati contraenti” con la precisazione che alla stessa Corte Costituzionale “è precluso di sindacare l’interpretazione della Convenzione europea fornita dalla Corte di Strasburgo, cui tale funzione è stata attribuita dal nostro Paese senza apporre riserve.
Cosa accadrebbe, allora, se le norme CEDU rispetto alle quali si è oggi esclusa la prescrizione di un vincolo relativamente alla materia de qua dovessero in futuro essere interpretate dalla Corte CEDU in un opposto significato ovvero come legittimanti anche unioni matrimoniali omosessuali?
E, verrebbe da chiedersi, i matrimoni sterili, per volontà o per natura, dovrebbero così essere annullati, poiché non si differenzierebbero dalle unioni omosessuali?
L'unione, a parer mio, di due persone dello stesso stesso non può avvenire tramite l'istituto ( ed il sacramento) del matrimonio allo stesso modo nel quale non si può sostenere che le stesse due persone dello stesso sesso non abbiano il sacrosanto diritto ad essere ritenute " famiglia" al pari di tutte le altre.
Ed allora ben vengano, prima di interventi esterni, riconoscimenti giuridici dei diritti delle coppie omosessuali in grado di assicurar loro le stesse prerogative riservate alle coppie eterosessuali ( compreso il diritto di adottare e procreare) attraverso, però, strumenti diversi dal matrimonio
che il diritto naturale riserva alle coppie formate da un uomo ed una donna.
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